Parlare dell’enogastronomia del territorio non rientra semplicemente nella sfera dell’edonismo soggettivo, del parlare bene o male di qualche pietanza e tantomeno non è un mezzo per elevarsi sugli altarini dei grandi intenditori di vini semplicemente per sfoggiare qualche termine “shock” , per stupire i nostri amici durante una cena in qualche ristorante di lusso (ho notato come il termine tannico o corposo è maggiormente utilizzato dai pseudo-intenditori di vino che aleggiano i calici in aria con movimento rotatorio similmente alle centrifughe professionali utilizzate nella separazione dei globuli di grasso nel latte).
Discorrere dell’enogastronomia significa andare alla ricerca dei prodotti che caratterizzano il nostro territorio riscoprendo le origini dei piatti o dei vini e ripercorrendo la loro evoluzione come se fosse uno studio “antropologico”. Anche se ho utilizzato un’affermazione forte spero che i lettori perdoneranno il mio azzardo prima che io possa spiegarmi; l’antropologia è uno disciplina che studia diversi settori che riguardano l’uomo, in particolare anche il comportamento all’interno della società e dei suoi costumi e abitudini. Io mi domando allora se l’enogastronomia possa essere uno studio che analizza le abitudini alimentari dei nostri avi e della tradizione gastronomica per avere un quadro generale del rapporto dell’uomo con la società e l’ambiente che lo circondava? Credo proprio di si.
La maggior parte delle nostre ricette cilentane appartengono ad una tradizione storica riconducibile al Medioevo, soprattutto quello durante la dominazione longobarda, che ha segnato i nostri territori in maniera decisamente significativa. È in quell’epoca che nascevano piatti poveri che oggi sono entrati nella nostra tradizione culinaria e che molti ristoratori stanno “restaurando” per continuare e tramandare la nostra storia e ilmodo di rapportarci ai prodotti che ci offre la nostra grande terra madre Il Cilento. Probabilmente furono proprio i longobardi a portare la bufala del mezzogiorno italiano e il latte, le verdure, gli ortaggi erano gli unici alimenti a disposizione della popolazione poiché la carne (maggiormente di suino) era un piatto destinato ai grandi signori feudatari. Non a caso in quest’ultimo decennio vi è una caccia alle antiche ricette e un po’ tutti quanti, come piccoli esploratori, scovano e sfogliano vecchie agende di famiglia che nascondono tra quei fogli di carta ingiallita “ la ricetta perfetta ”. Sono proprio quei piatti legati anche ad un nome più “autoctono” ( alici mbuttunate, sfriunzolo, purpette r’ patate) che similmente ai nostri nonni ci raccontano porzioni di storia del nostro paese e dei nostri avi proiettandoci magicamente indietro, come un sogno dove è possibile sentire e saggiare proprio quelle sensazioni che impregnano un periodo passato. Se da una parte abbiamo un gruppo di ricercatori appassionati di “restauro delle ricette antiche “, dall’altra esiste un’altra corrente dell’enogastronomia che tende invece a modificare ed interpretare diversamente le ricette, creando dei veri e propri capolavori gastronomici, miscelando concetti di cucina mediterranea con sapori e profumi del medio-oriente, oppure lasciandoci persuadere dal fascino esotico di diverse cucine etniche che si legano invece al pescato quotidiano del nostro mare ( tempo fa assaggiai in un ristorante a Castellabate un cous-couscon insalata di mare che non era per niente male). Del resto in questo mondo odierno che si sta trasformando in una grande metropoliricco di diverse etnie era invitabile che ci fosse una piacevole contaminazione nell’elaborazione dei piatti della gastronomia; a Torino, in un ristorante stellato hanno addirittura concepito un piatto di tortellini su brodo di the verde, anche se ben poco visto dai “classicisti” della gastronomia così come fu ben poco accettato il movimento futurista ai principi del XX secolo nell’ambito artistico. La stessa cosa vale anche nell’abito della viticoltura, osservando come nel nostro territorio diverse aziende s’impegnano o nel restauro di vigneti di famiglia o nel campo sperimentale per ottenere uno spumante con metodo classico partendo da uve Fiano misto delle volte a piccole porzioni di Aglianico.
Dunque cos’è l’enogastronomia? Scienza applicata all’arte della produzione culinaria e vitivinicola per studiare l’interazione dell’uomo all’interno di una società che tende a modificarsi durante il corso del tempo, analizzando l’usodei prodotti enogastronomici a sua disposizione e di come siano mutate le abitudine alimentari a seconda della sua condizione sociale- economica- politica.